Camminerai lungo scarpate selvagge nei Monti Simien, esplorerai le chiese scolpite di Lalibela, vedrai la lava ribollire al vulcano Erta Ale e scalerai le cappelle nascoste del Tigray, sempre accompagnato da guide locali che conoscono ogni scorciatoia e racconto.
Appena atterrati a Gondar, l’aria era più fresca del previsto, quasi frizzante, con un leggero profumo di eucalipto che arrivava dalle colline. La nostra guida ci ha accolto subito in aeroporto e in meno di un’ora eravamo già a passeggiare nel Palazzo Reale. I castelli sembrano usciti da una fiaba, ma ogni pietra racconta una storia vera. Più tardi, entrando nella chiesa di Debre Berhan Selassie, non riuscivo a smettere di guardare gli angeli dipinti sul soffitto. Il custode ci ha raccontato di quanto per poco non fosse stata distrutta secoli fa. Dentro regnava un silenzio quasi sacro, rotto solo dal fruscio dei passi sulle pietre e dal canto di qualche uccello che entrava da una finestra.
Il viaggio verso il Parco Nazionale dei Monti Simien è stato più tranquillo di quanto immaginassi, con strade asfaltate per la maggior parte del percorso. A Debark abbiamo sistemato i permessi e incontrato la nostra guida locale, che conosceva ogni curva della strada. La prima camminata lungo la scarpata è stata dolce; abbiamo avvistato i babbuini gelada che pascolavano a pochi metri, con le loro criniere illuminate dal sole del tardo pomeriggio. L’aria lì su porta un profumo di timo selvatico e si sentono in lontananza i campanacci delle capre. Le notti al campo sono fredde, quindi portate vestiti caldi, e il cielo è così pieno di stelle che sembra di toccarle.
Abbiamo proseguito il trekking più in profondità nei Simien, seguendo creste strette e campi d’orzo fino al villaggio di Gich. Il pranzo vicino al fiume Jinbar aveva un sapore speciale dopo ore di cammino: pane semplice e lenticchie speziate, mangiate con le mani lavate nell’acqua fresca. Vicino c’è una cascata che scende talmente in basso da perdersi nella nebbia. A Gich siamo stati invitati in una capanna rotonda per un caffè denso e terroso, servito con popcorn. I bambini ridevano mentre cercavamo di parlare in amarico. Il tramonto da Kedadit è stato magico: una luce dorata che si riversava sulle scogliere e ombre che si allungavano all’infinito verso est.
Il volo per Lalibela è stato breve, ma sembrava di cambiare mondo. Le chiese scavate nella roccia sono davvero uniche; Bet Medhane Alem ti lascia senza fiato per la sua grandezza quando entri. La guida locale ci ha spiegato come ogni chiesa sia collegata da tunnel e cortili. Bete Giyorgis è isolata, a forma di croce e scolpita perfettamente nella pietra – difficile credere che sia stata fatta a mano. Qui ti conviene prenderti tutto il tempo che vuoi, perché ogni angolo nasconde dettagli che si scoprono solo guardando con attenzione.
La strada per Mekele è lunga, circa otto ore, ma il paesaggio che cambia dalle alture alle pianure aride ti tiene incollato al finestrino. Nel Danakil la realtà si fa dura: strade accidentate, calore che si alza dai campi di lava nera, cammelli carichi di blocchi di sale che avanzano lentamente. Abbiamo campeggiato vicino al vulcano Erta Ale e, poco prima del tramonto, abbiamo iniziato la salita con solo le torce frontali a illuminare il sentiero. Stare sul cratere a guardare la lava che ribolle è un’esperienza indimenticabile: il calore sul viso, l’odore di zolfo nel naso e quel rimbombo profondo che arriva da sotto la terra.
Nel villaggio di Hamad Ela ci siamo svegliati presto per vedere i minatori di sale al lavoro: uomini che staccano lastre di sale dalla terra e le caricano sui cammelli, mentre i bambini afar ci osservavano curiosi nascosti dietro mucchi di blocchi. I colori di Dallol sono incredibili: pozze giallo-verdi e croste arancioni che si estendono sotto un sole cocente. È uno di quei posti dove devi strizzare gli occhi perché tutto è troppo luminoso.
Le chiese rupestri del Tigray non sono per chi ha paura delle altezze, e non scherzo! Salire fino ad Abuna Yemata Guh significa aggrapparsi a prese scolpite nella arenaria mentre il cuore batte forte (e sì, c’è una sporgenza larga appena quanto un piede). Ma dentro? Gli affreschi dipinti secoli fa brillano ancora nella penombra. Maryam Korkor è più grande di quanto immaginassi, con dodici colonne che sostengono un soffitto incredibilmente alto per una struttura scolpita a mano.
Axum ha chiuso il viaggio: campi di stele antiche punteggiati da obelischi inclinati, storie di tombe perdute e la cattedrale di Santa Maria di Sion, dove i locali credono sia custodita l’Arca dell’Alleanza (ma non si può avvicinare, è sorvegliata). Vale la pena soffermarsi anche al Museo Nazionale di Addis Abeba: le ossa di Lucy sono più piccole di quanto pensassi, ma vederle ti fa capire quanto sia profonda la storia dell’Etiopia.
La maggior parte sono di difficoltà media, con qualche tratto ripido e l’altitudine da considerare. Le guide adattano il ritmo a tutti, serve una buona forma fisica ma non devi essere un esperto di trekking.
Sì, con guide locali esperte e scout che conoscono bene la zona. La regione è remota e molto calda; è fondamentale idratarsi e proteggersi dal sole.
Scarpe da trekking robuste, vestiti a strati per le notti fredde (soprattutto nei Simien), cappello e crema solare per il Danakil, oltre a prodotti per l’igiene e medicine personali.
Il trattamento di pensione completa è previsto durante le tappe nei Monti Simien e nel Danakil; altrove è compresa la colazione in hotel.
Certo! I viaggiatori singoli sono benvenuti e si uniscono a piccoli gruppi guidati da guide locali amichevoli.
Ingresso a tutte le attrazioni principali (incluse le chiese di Lalibela), tour guidati da esperti locali, voli interni in Etiopia (tre tratte), tutti i trasferimenti con mezzi confortevoli, pensione completa durante le avventure nei Monti Simien e Danakil, pernottamenti con colazione altrove e tutte le tasse incluse.
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